Quando mi interrogo davanti a un pubblico sull'importanza delle storie e racconto la scienza che in qualche modo la supporta, prima o poi spunta il caso di Elliot.
Elliot mi affascina particolarmente, forse perché sono un navigato lettore di gialli: sono cresciuto con il mito della logica che può ricomporre il puzzle più intricato e restituire giustizia a un mondo ingiusto. Un mondo in cui il mistero da risolvere è creato dall'uomo che vuole approfittarsi dell'uomo e solo la razionalità - che per qualche motivo in molte di queste storie è una qualità dei 'buoni' e non dei 'cattivi', - può aiutare il protagonista a far luce nelle tenebre.
Il mio primo libro 'in prestito', preso con timidezza alla biblioteca della scuola elementare di Ceretolo che ho (poco) frequentato, fu proprio 'Il segno dei quattro' di Arthur Conan Doyle. Quand'ero piccolo vedevo in Sherlock Holmes non un appassionante eroe vittoriano, ma un modello di investigatore e di adulto che avrei voluto diventare. E io, che passavo molto tempo chiuso in casa con le mie febbri di 'bambino linfatico' (interessano le febbri? Se non l'hai già fatto puoi leggere del ragazzo con la febbre di ferro!), cercavo di non arrabbiarmi perché non potevo giocare come gli altri bambini, cercavo di soffocare in qualche modo le mie emozioni negative ispirandomi proprio a lui, alla sua calma e alla sua logica. Per non parlare della sua infallibilità.
Be', come vi dicevo ero un bambino e non avevo capito granché la parte iniziale del romanzo, quella in cui Watson rimprovera Holmes perché sta abusando della sua soluzione al sette per cento di cocaina (che è anche il titolo di un divertente apocrifo del 1974). I bambini sono fantastici! Sono innovatori, non-giudicanti, non-moralisti e ragionano sempre fuori dalla scatola, non ci stanno mai dentro. A meno che non siano i bambini di Schrödinger, che hanno tentato per anni di stare contemporaneamente dentro e fuori dalla scatola nel tentativo di dare da mangiare al gatto del padre.
Quello che mi affascinava di Sherlock Holmes era la sua infinita capacità razionale che non era mai turbata. Solo più avanti capii quanto il personaggio di Doyle fosse 'turbato' per design. Solo dopo avrei conosciuto il Signor Spock e avrei apprezzato la forza della sua logica vulcaniana, invidiandogli persino il rito del Kolinahr, quello in cui i vulcaniani, la razza aliena con le famose orecchie a punta, abbandonano per sempre le loro emozioni in favore della logica.
E insomma, d'altronde è sempre stato così no? Ragione o sentimento. Cervello o cuore. Non puoi essere razionale e impulsivo allo stesso tempo!
Oppure sì?
Il nome intero è 'paziente Elliot'. Sì, certo. Si tratta di un nome inventato, vista la necessaria privacy che gli ha voluto riservare Antonio Damasio quando ne ha parlato per la prima volta a supporto della sua teoria.
Elliot era un professionista rispettato, lavorava in uno studio legale, frequentava attivamente la parrocchia. Era sposato con figli. Un marito e un padre modello, almeno fino a quando non gli venne asportato un pezzettino di cervello, che era malato e che bisognava per forza togliere.
Operazione riuscita, la vita di nuovo nelle sue mani. Solo che non sapeva più che farsene.
Dopo l'operazione Elliot era cambiato, nonostante avesse conservato tutte le abilità che gli permettevano di vivere una vita in salute, era diventato più distaccato, più freddo nel relazionarsi con gli altri e con la sua stessa tragedia personale. Un sorriso sornione, quasi pacifico gli colorava il viso, ma... c'è sempre un ma.
Elliot riusciva a ragionare su ogni dettaglio, non era più turbato, calcolava continuamente tutte le possibilità razionali se gli venivano messe davanti a una scelta. Proprio come Sherlock Holmes o Spock non era più violentato delle sue stesse emozione.
E il ma è questo: Elliot non riusciva più a decidere niente! Vedeva ogni singolo universo possibile, poteva esplorare quelle infinite possibilità senza farsi preoccupare o spaventare, era sempre lucido e sereno... ma non sentiva quale fosse la scelta giusta per lui.
In tutto. In ogni singola cosa. Aveva perso il lavoro, la famiglia e non volevano neanche dargli una pensione d'invalidità perché il suo problema non sembrava un problema... all'apparenza.
Ci è voluto il professor Damasio che ne ha parlato nel suo splendido 'L'errore di Cartesio' e che ha teorizzato i 'marker somatici'. In pratica, secondo Damasio, Elliot non riusciva a scegliere proprio perché non riusciva più a provare emozioni. Sono queste infatti che insegnano (e a volte sovrascrivono) al cervello come 'scremare' le tante possibilità di scelta che abbiamo davanti e 'sentire' quale sia la scelta da fare.
La logica senza le emozioni non riesce a darci una direzione, perché a quanto pare scegliamo col cuore. Soltanto che il cuore è il cervello. Come lo chiamo io, il courvello. E quando con una storia facciamo vivere emozioni a chi ne partecipa, gli stiamo dando qualcosa che poi può utilizzare per fare una scelta nella vita reale.
Ragione e sentimento, come diceva qualcuno.
Curare il proprio cuorvello è salutare e anche salutare è piuttosto salutare, specialmente quando si rischia di diventare noiosi. Quindi io ti saluto.
Ti aspetto tra le righe.