Sembra la descrizione di un mio incubo.
È un po' come avere la bottega aperta. Davanti a te passano un sacco di persone e tu sei troppo concentrato per accorgertene. Sei lì che fai le tue cose, tiri fuori una punta di lingua e intanto uno straniero ti coglie così. Abbruttito, con la fronte corrugata, la pupilla affamata che pascola pigramente sui campi elettrici dello schermo di fronte a te, in cerca di parole e di spazi vuoti.
Sei vulnerabile, esposto alla curiosità di tutti quelli che vogliono vedere quant’è grande la tua bozza, quant’è lungo il tuo capitolo.
Sì, è questa una delle idee che ho per IL BLOCCO DELLO SCRITTORE. Portarti in un mio incubo e trasformarlo in qualcosa di… bello, in una relazione.
Mi piacerebbe mostrarti quello che normalmente non si vede. Quello che i miei colleghi nascondono - per giustificabili motivi, - quello su cui scherziamo tra di noi e di cui facciamo materia di aneddoti studiati sapientemente per sembrare intelligenti e un po’ maledetti alle nostre cene.
Storie sulle storie.
Vorrei portarti dietro le quinte, raccontarti cosa succede quando si racconta.
Una cosa è ricordare i garibaldini, ma un'altra è guardargli dentro ai vestiti. Andare a vedere se è vero quello che per scherzo si diceva della scelta dei colori fatta per la divisa. Il rosso per nascondere il sangue sulla camicia, il marrone per nascondere la mxxxa nei pantaloni.
Perché quando vai in battaglia, te la fai sotto.
Scrivere può essere una spaventosa battaglia.
Negli anni ho visto molti caduti: alcuni sono morti in trincea, altri addirittura nelle retrovie, senza nemmeno uscire fuori a sparare qualche colpo.
E io sono stato qualche giorno come loro, nella settimana passata. Ho avuto il blocco de IL BLOCCO DELLO SCRITTORE. Era previsto, potrei dirti a cose fatte. Era voluto. Invece no, l’unica cosa che sapevo era che il primo appuntamento con te sarebbe stato oggi. Ho una pila di argomenti di cui mi piacerebbe parlarti, ma da qualche parte bisogna cominciare e io avevo paura di cominciare.
Sì, perché quando cominci una storia, quando apri una parentesi (la parentesi sono come la storia) prima o poi la devi anche chiudere.
Una delle cose che mi spaventano di più, come uomo e come narratore, sono i finali.
Mi spaventano al punto che a volte ho paura di cominciare, perché non so se riuscirò a finire di raccontare la storia, a tenere in pugno quell’universo narrativo e fare in modo che sia tangibile al punto da poterlo consegnare a qualcun altro.
IL BLOCCO DELLO SCRITTORE è studiato per iniziare, e prima o poi dovrà anche finire.
Il vero blocco, invece, quello che non ti fa scrivere, non esiste. Esiste la battaglia che combattiamo quotidianamente con noi stessi, è la battaglia di esprimerci, è quella cosa nella nostra testa che ci fa dire: «io sono»,«io penso».
«Ma chissenefrega che tu sei o che io sono?» Dice un’altra vocina.
Chi te lo fa fare di raccontare cose, di dire la tua o provare di dire quella di un altro?
Perché non ti fai i cxxxi tuoi e te ne stai zitto a guardare la tv mentre sei a tavola per cena?
Perché esistono le storie? E che differenza c’è fra un ricordo e un racconto? Sono così diversi? La realtà così come la viviamo esiste anche se non la raccontiamo? E dove vanno a finire le cose del passato e quelle del futuro se non le raccontiamo?
Mi sembra che possiamo ammetterlo, guardiamo i nostri feed sui social, le cartelle stampa e i giornali coi loro publi-redazionali, i canali tv e quelli di video auto-prodotti, i podcast e la radio, le biografie e le agiografie, le apologie… Insomma, c’è molta più vita raccontata di quella vissuta.
Nel bene e nel male.
Spoiler: la vita è l’unica cosa che abbiamo, ma le regole di questo mondo sono talmente crudeli che il tempo ce la porta via e ci rimangono solo un pugno di ricordi sconnessi se non li fasciamo insieme stretti stretti.
I nostri racconti sono questi legacci, le storie che racconteranno su di noi saranno l’unica cosa che ci sopravviverà davvero. La verità su ciò che abbiamo fatto morirà con noi. Un’azione, anche la più umile e gentile, può essere raccontata in molti modi diversi.
Tanto vale farsi avanti, gente! Dobbiamo dire la nostra, ma dobbiamo farlo meglio di così.
Sogno un mondo in cui sappiamo esprimerci, raccontando con parole pesate quello che proviamo, quello che abbiamo il terrore di provare, quello che vorremmo un giorno provare. Un mondo in cui mostriamo agli altri chi siamo dentro e non fuori.
Perché le parole?
Ecco perché, ecco il nostro primo esercizio.
Prova a immaginare di dover disegnare l’amore. No, non fare un cuoricino per favore: impegnati, cxxxo.
Immagina che qualcuno venga da te con un porcellone pieno di soldi (degli won coreani, tipo in Squid Game) e ti dica che vuole che tu gli costruisca un po’ d’amore, per piacere. Dai, fallo.
Oppure fai così. Prova a descrivere l’amore con le tue parole, o magari prendi in prestito quelle di altri. Le parole sono piccole piccole, non se ne accorgerà nessuno se ne prendi qualcuna, la differenza sta nel come le metti insieme.
Sì lo so, stai già guardando il libro di Neruda che usi ogni San Valentino… Va bene anche quello! Prendi in prestito qualche parola da Pablo e facci quello che vuoi, ma scrivi l’amore.
E poi pensa: AMORE, una sola parola e così tante cose che mi vengono in mente.
È più facile dirlo con una parola.
So cosa stai pensando, di questo esercizio, stai pensando un luogo comune tipo: «Più facile a dirsi che a farsi!»
Vero, ma falso. Prova a fare qualcosa che non hai detto prima. Pensare vale come dire, stai parlando a te stesso. Prova a fare qualcosa e non sentire le parole dentro di te che comunque formano i pensieri e poi le immagini o viceversa. Non possiamo sfuggire alle parole, la parte più ‘recente’ del nostro cervello le usa perché costano poco e valgono tanto. Quanto l’amore, che puoi dire in cinque semplici lettere.
(questa scena che trasuda amore è stata pensata e scritta, prima che disegnata)
Mi piace pensare che dopo tutti questi anni di mestiere, aprire le porte della mia bottega possa essere il mio contributo a divulgare la semplice arte del racconto, come la vedo io. Io la vedo l’unica vera vita.
Quindi faremo così: mentre tu fai questo primo esercizio e provi sulla tua pelle quanto le parole siano pratiche (e magari mi mandi il risultato nei commenti sotto questo post all’indirizzo scritto.re o mi scrivi a matteo@scritto.re) io intanto preparo la bottega.
Ogni settimana pubblicherò un articolo per tutti gli SBLOCCATI, lo farò dalle parti del giovedì (soffro di giovedite, come Arthur Dent non li capisco i giovedì).
Ogni maledetta domenica, invece, uscirà un articolo di approfondimento per gli SBLOCCATI RICCHI, quelli che fra di voi hanno deciso di PAGARMI UN CAFFÈ ALLA SETTIMANA per avere qualcosa in più. Adoro il caffè, ne scriverò presto.
Cosa succederà nei prossimi mesi se seguirai IL BLOCCO DELLO SCRITTORE?
- riceverai piccole lezioni di scrittura con un grande impatto sulla tua qualità della vita;
- ci interrogheremo su come comunicare meglio con gli altri, ma soprattutto con noi stessi (sì, siamo i nostri peggiori clienti);
- ti farò vedere il mio metodo di composizione, ma parleremo anche di produttività per tutti, io la chiamo creative management, mischio insieme produttività e creatività… e funziona;
- ascolteremo in anteprima il mio nuovo podcast: parleremo di gialli, di scrittura, di lettura e lo faremo coi migliori scrittori italiani (quelli che rifiuteranno il mio invito li togliamo dalle classifiche);
- e poi, come ti dicevo, si apre la bottega, a un certo punto comincerò a raccontarvi le idee che ho per il mio nuovo romanzo… e lo scriverò davanti a te, settimana dopo settimana. E se vorrai partecipare a questo laboratorio, potrai vedere come faccio come io ho avuto l’opportunità di vedere altri prima di me. Comincerò il 2 novembre. Una data significativa. Segnatela;
- e tanto altro, che ci verrà in mente nel mentre.
Adesso basta, che mi ero dato un limite… di parole.
Oggi abbiamo imparato che cominciare fa paura e che la parola è più pratica di quello che sembra.
Parlare di queste cose è salutare, ma anche salutare è piuttosto salutare, specialmente quando si rischia di diventare noiosi.
Quindi io mi fermo qui.
Per oggi (te l’ho detto, odio i finali).
Ti aspetto fra le righe.
Mi sono commossa. Perché? Perché sì. Comunque, AMORE è guardare Matteo ed Elisa ed essere felice per loro. ❤️