Lo scrittore ce l'ha piccolo
Il social network più piccolo che c'è ci insegna che stiamo perdendo tempo occupando spazio, senza accorgercene.
Minus è un social network di nuova concezione. Lo dice il nome stesso. Minus, ovvero ‘meno, minore’. Si tratta di un sito essenziale, per l’appunto. E fa quello che promette, fa meno.
Lo apri, scrivi qualche cosa in un post e puoi anche commentare quelli degli altri. Finito.
Non ci sono pubblicità, non ci sono ‘like’ e c’è una particolarità ancora più interessante: su Minus hai a disposizione soltanto cento (100) post. Il tuo spazio è concluso. Finito.
Il tempo e lo spazio, a quel che si dice in campo scientifico, sembrano molto più legati di quanto possiamo credere. E in questo social sono indissolubili compagni, o come dicono oggi i nuovi esperti di cultura coreana, dei ggambu.
E così ti ritrovi lo spazio di cento (100) post per raccontare una vita intera, ogni post che scrivi di fatto toglie uno spazio (1) a tua disposizione e conta il tempo che ti rimane (99 post) per scrivere su Minus.
La testa dietro a questo progetto è quella di Ben Grosser, un ricercatore e un artista che si è sempre concentrato sul rapporto e sulle implicazione sociali e culturali che ha l’interazione crescente tra l’uomo e la macchina, tra la mente e il software.
Grosser ha partecipato a moltissime mostre e Minus è una delle opere create per una sua mostra personale intitolata ‘Software or Less’ presso la areByte Gallery di Londra.
Quindi Minus è un’opera d’arte e un social network?
Per me Minus è una storia da raccontare, una scusa buona per pensare a quanto le parole siano importanti, perché lo spazio che occupano equivale anche al tempo (il nostro e di chi ci legge) che ci rimane.
Un’allegoria di come il nostro tempo scorra inosservato, scivolando tra gli ‘scroll’ infiniti in un grande recipiente di messaggi il cui unico obbiettivo inconscio che ci viene trasmesso è quello di farci notare.
Dobbiamo esserci, farci piacere, sbracciare per un pollice alzato a costo di fare cose stupide perché gli altri devono guardare nella nostra direzione. E allora via a lanciare challenge, a ripubblicare citazioni ricopiate talmente tante volte che ormai hanno perso ogni legame con le parole originali dette dal poeta di turno, dal personaggio storico, dallo scrittore che abbiamo citato. La stessa sorte la subiscono le notizie, diventando pettegolezzi o peggio. E succede come nel gioco del telefono senza fili in cui il primo dice ‘gallo cedrone’ e l’ultimo della catena telefonica si becca all’orecchio del ‘grande coxlxxxe’. Fake news, siamo un telefono senza fili globale. Il che, se pensiamo che comunichiamo di fatto con telefoni senza fili, lo trovo particolarmente ironico.
Quando esauriamo il repertorio delle parole di seconda mano - non c’è problema, a che servono le parole? - possiamo imitare non più la vita, ma la fiction. Così, invece di riscrivere con le nostre parole le storie che abbiamo amato, dando loro il nostro unico punto di vista, diventiamo pupazzi svuotati dalla bambagia e muoviamo le labbra nel tentativo sguaiato di fare il playback allo specchio. Finiamo per farci doppiare noi dalle scenette dei film cult, dai balletti pop e dalle più stupide tra le pubblicità. Tutto questo occupa spazio, anche se non ce ne accorgiamo, uno spazio che non si nota ripiegato tra i pixel, ma che si nota nel tempo a cui è indissolubilmente legato, tempo che abbiamo perduto e che non abbiamo usato per dire qualcosa di utile.
Una notevole cosa, sarebbe, e questo è l’esercizio che ti suggerisco questa settimana, fingerci tutti degli scrittori (intendo proprio lo stereotipo idealizzato dello scrittore con la penna e il calamaio) quando ci mettiamo ad aggiornare i nostri social network, prendendoci la responsabilità dello spazio e del tempo che occupiamo. Il nostro spazio (virtuale) è anche quello degli altri. Contiamo fino a dieci prima di cliccare invia. Rileggiamo.
Diamo un peso ai pensieri, vestiamoli così che non volino via…
Scegliamoli bene i nostri pensieri, perché i pensieri più volatili sono anche quelli più pesanti quando gli mettiamo addosso le parole.
Pesare le parole dunque è salutare, e anche salutare è piuttosto salutare, specialmente quando si rischia di diventare noiosi. Quindi io ti saluto e ti rimando a domenica per Il sangue degli esausti, la mail di approfondimento che mi paga i caffè.
Ti ricordo anche che il 2 novembre comincerò a parlarti del mio progetto di scrittura ‘live’. Sto per cominciare insieme a te il nuovo romanzo. È una data speciale.
Ti aspetto fra le righe.
Lo scrittore ce l'ha piccolo
Il mio post, pardon, la mia lettera preferita finora! 🧡