Come ho COMINCIATO A SCRIVERE e come DOVRESTI COMINCIARE ANCHE TU
Fallo anche se non hai il sogno di pubblicare un romanzo, di vedere realizzato un tuo film e di vincere un Premio Nobel per la Letteratura
È successo qualche settimana fa alla fine di una lezione.
Una studentessa mi chiede come ho iniziato a scrivere e io ingenuamente rispondo come faccio sempre quando mi pongo la domanda di fronte a un pubblico di aspiranti romanzieri.
"Ho iniziato riscrivendo le storie che avevo letto e che mi piacevano."
"Questo lo so," mi interrompe lei che aveva assistito anche al resto del corso. "Ma io voglio sapere come hai cominciato a scrivere, non come hai imparato a raccontare storie."
Beccato.
Perché uno potrebbe non avere una vocazione per il racconto di finzione, ma potrebbe comunque trarre benefici dalla scrittura e dal racconto di sé.
Spoiler alert: alla fine è lì che andremo a parare.
C'è un passaggio molto importante che fa da ponte tra vivere e raccontare; scrivere ne è il gesto fondamentale, l'attitudine e l'abitudine che genera ogni costruzione narrativa ordinata.
Certo, noi raccontiamo continuamente la nostra storia: lo facciamo qui, nella nostra testa, ma quando grazie alla scrittura cominciamo a catturare e scegliere le storie migliori cambia tutto. Possiamo anche vedere, grazie alla scrittura, quante storie sbagliate ci stiamo raccontando e il posto oscuro dove rischiano di portarci, evitando magari di arrivarci.
Un pensiero, questo, che non potremmo formulare tenendoci tutto nella testa. Come quando ci ossessioniamo per un ricordo che ci tormenta, o meglio per il modo in cui ricordiamo quell'episodio - per essere del tutto onesti, - e per come (con le parole) lo ricordiamo.
Basterebbe scriverlo così come lo pensiamo e poi magari riscriverlo, ma come se fosse un romanzo di fantascienza o un racconto umoristico… Oppure dal punto di vista di chi ci ha offeso! Chissà cosa succerebbe.
E per un momento, vorrei dire a quella studentessa che ho cominciato a scrivere storie per amore della finzione, perché le storie mi hanno salvato la vita e senza di esse non avrei mai potuto sperare in una vita diversa da quella che mi avevano raccontato.
Perché è di questo che si occupano le storie, fabbricano speranza.
E questo lo penso davvero…
La verità, però, è un'altra! Io ho cominciato a raccontare storie di finzione quando mi sono stancato di me stesso e delle storie sbagliate che mi raccontavo. Le storie di finzione sono state una fuga. Ho cominciato a scrivere di personaggi inventati per sfuggire al personaggio che mi ero creato, per permettere agli altri di immedesimarsi nei miei problemi senza che dovessi raccontargli davvero di me. Ho cominciato a scrivere narrativa, come la maggior parte dei narratori, perché sono un codardo.
È paradossale, lo so! Scriviamo storie inventate per permettere agli altri di capirci meglio, ma quando un romanzo è 'tratto da una storia vera' è spesso più appetibile da leggere. Scriviamo di finzione, ma vogliamo leggere di verità.
Ho sempre attribuito questa attrazione per la verità alla nostra invadenza... Ma se non fosse così, almeno non del tutto?
Se fossimo attratti dalla finzione per prendere la giusta distanza dalle nostre storie personali e allo stesso tempo corressimo incontro a quello che è 'tratto da una storia vera' per tornare a relazionarci di nuovo con la nostra quotidianità? Se tutto questo percorso ci facesse riavvicinare ai nostri problemi e alle nostre emozioni con un punto di vista rinnovato, come una specie di cerchio delle storie che si chiude?
Io ho cominciato a scrivere scrivendo di me, e quello che ho scritto mi ha terrorizzato. Sono scappato dalla mia storia usando la scrittura e me ne sono inventate delle altre… Fino a quando non l’ho capito, fino a quando non sono tornato a usare carta e penna per me, con uno strumento considerato da molti adolescenziale, romantico, superato.
Sono tornato a scrivere un diario. E la diaristica, oltre a essere un genere letterario vero e proprio, è prima di tutto una pratica quotidiana che tutti noi dovremmo intraprendere, a prescindere dalle nostre ambizioni letterarie.
Tu tieni un diario? E come lo scrivi?
Un argomento che mi piacerebbe approfondire nelle prossime settimane, perché in tempi di discussione sulla natura stessa della scrittura - quella creativa e quella pratica, - con la nuova popolarità che stanno acquisendo i modelli linguistici dell'intelligenza artificiale, penso che dovremmo convocare degli 'Stati Specifici della Scrittura' (no, non degli 'Stati Generali') per rifletterci sopra.
Facciamolo. Soltanto io e te.
Dobbiamo trarre il meglio da questa rivoluzione. Il meglio dall'AI e soprattutto da noi stessi, dal nostro uso della scrittura. Perché se le macchine ora ti possono aiutare a scrivere una mail o un articolo, a riassumere una tesina, a scrivere interi romanzi di finzione anche piuttosto convincenti... C'è ancora qualcosa che le AI non possono fare e che non potranno mai fare.
Le macchine non possono scrivere come stai, cosa pensi, nessun altro può decidere chi sei veramente a parte te. E se è vero che le AI possono aiutarti ad avere nuove idee e progettarne la realizzazione, il rischio rimane solo tuo. Ciò che fai ti definisce.
E quel senso di responsabilità (di cui si parla spesso nelle storie che leggiamo) e che tutti cerchiamo continuamente di nascondere sotto al tappeto - come ho fatto io all’inizio del mio percorso con la narrativa, - quando ci inciamperai sopra, ti farà piuttosto male se non ti sarai abituato a tenere pulita la tua mente con l'unica scrittura che conta, quella da cui parte tutto, quella da cui sono partito anch'io e alla quale sono ritornato: il diario, che sta alla base della Scrittura per Umani.
Fammi sapere se scrivi un diario e come lo scrivi a lo@scritto.re oppure, se sei abbonato, rispondi come sempre a questa mail. I prossimi articoli saranno dedicati ad alcuni diari famosi, alle tecniche diaristiche, alle applicazioni e ai sistemi più interessanti per scrivere e conservare il proprio diario.