I cinque colpi di katana dei perché
Scrivere è progettare problemi e immaginarne soluzioni, giuste o sbagliate, vedendole da uno o più punti di vista. Usando il cuorvello.
Sakichi Toyoda era una persona dalle doti strabilianti, una delle più notevoli che si fossero viste indossare un kimono tra la fine dell'ottocento e i primi trent'anni del novecento. Gli stava molto bene, in effetti.
Aveva lo sguardo affilato, gli occhi scuri che sembravano tagliati dal cuore di una stella. Suo padre era un contadino, le stelle le contava facendo notte sui campi nella prefettura di Shizuoka, ma Sakichi invece con quegli occhi scuri vedeva il futuro. Passò alla storia per diverse cose notevoli, come l'aver contribuito alla nascita della più importante fabbrica di automobili giapponesi. Non era un samurai, anche se ne aveva il portamento. Era un problem solver.
Un mio tormentone tra i tanti che ho - le mie classi di scrittura lo sanno bene, - è l'utilizzo frequente del termine 'cuorvello'. Lo uso quando mi riferisco alle emozioni e alla ragione che si mescolano nella testaccia dello scrittore. Di tutti noi, a dire il vero. Un altro mio tormentone è che raccontare è fare problem solving.
Scrivere è un atto analitico, per quanto ci possiamo sforzare di 'non ragionare', mentre scriviamo. Non esistono cose come la 'scrittura automatica', patologie psichiatriche a parte.
Scrivere è anche un atto creativo, però. Starai pensando che ci sono un sacco di emozioni in narrativa (uno dei modi di usare una storia, ma non l'unico); amori e dolori, risate e tradimenti. Emozioni evocate così mirabilmente sotto gli occhi del lettore! Ecco, quando uno scrittore lo fa bene, sta usando il cuorvello, ovvero la consapevolezza profonda che il cuore (toccatelo, senti come batte!) non è nient'altro che una pompa.
Come osa questo qui?
Una pompa?
Centinaia di anni di romanticismo, Rimbaud e Verlaine e...
Fermo lì.
Da dove viene questa rabbia? Dove inizia questa scossa elettrica?
Eccola, è qui! Nella mia testa!
È vero. Le emozioni sono coinquiline fuorisede della ragione. Abitano nello stesso posto mentale, a volte lo squattano.
Il cervello, quando lo usiamo responsabilmente, sapendo dove stanno di casa davvero le emozioni, è in realtà un cuorvello.
Può succedere che dalla scrittura ci facciamo trasportare. Nella foga del nostro RAFDRAF! (mi piace chiamarlo come un'onomatopea, mi ricorda il rumore che fa la matita sul foglio bianco: RAF! DRAF!) o rough draft, insomma della nostra primissima stesura, crediamo di aver estratto succo di cuore, di aver aperto un portale e interrogato i nostri personaggi ricevendo una risposta proveniente dall'altra parte, oltre il velo sottile che separa il nostro universo dall'universo dell'immaginario, dagli infiniti mondi possibili. Bello no?
Diversi scrittori e scrittrici mi hanno quasi convinto, negli anni, quando durante una conversazione evocavano la presenza dei loro personaggi con l'indolenza di vecchie medium a una seduta spiritica. Loro che 'fanno quello che vogliono', che 'non posso comandare a bacchetta' o ancora che 'mi stupiscono ogni volta'.
Ora. Cosa c'è di vero in tutto questo e cosa c'entra l'inventore della Toyota?
Quando costruiamo un personaggio impariamo a conoscerlo bene e ne assorbiamo le euristiche comportamentali, ma se il personaggio cambia durante la storia, come spesso DOVREBBE capitare, queste euristiche si aggiornano di nuove variabili e allora potrebbe sfuggire a una parte della nostra corteccia questo cambiamento, ma non alla nostra interezza, al nostro cuorvello.
Ci fa molta paura, a volte, accettare il fatto che siamo noi ad avere il controllo su quello che scriviamo, sulle storie che inventiamo. Non abbiamo controllo su quasi nulla d’altro. E questa consapevolezza che dovrebbe farci sentire fichissimi e liberi, in realtà diventa un peso. Da grandi poteri derivano grandi revisioni.
Molto meglio affidarci al caso, allora. Diamo la colpa alle Muse, ai personaggi che sono usciti fuori irrisolti o involontariamente ridicoli.
Per aiutarti nello sviluppo di un personaggio e non perdere mai il segno su cosa o chi stia diventando, fai l'esercizio dei cinque perché di Toyoda, o come lo chiamo io 'i cinque colpi di katana dei perché'.
Parti da un'azione del tuo personaggio, da una sua emozione, da una scelta che dovrebbe fare e chiediti perché.
Per esempio: Miracoli crede che Vita sia l'assassina.
Perché? Perché Miracoli è rimasto colpito da quella donna misteriosa dagli atteggiamenti un po’ troppo sospetti.
Insisti, dopo esserti dato una risposta chiediti di nuovo il perché di quella risposta.
Seguendo dal mio esempio: perché Miracoli si è infatuato di quella donna, ma pensa anche che sia molto pericolosa.
E ancora: perché Miracoli ha paura di essersi innamorato.
E così via, fino al quinto colpo di katana.
Questo ti farà sudare sette kimono, ma alla fine conoscerai sempre meglio il tuo personaggio e saprai stupire i tuoi lettori invece di rimanere stupito soltanto tu.
È facile. Basta scrivere.
Ti aspetto tra le righe!
I cinque colpi di katana dei perché
Perché il “giovane” regista ha voluto raccontare la storia del console maxistangata che salvava gli ebrei?
1- perché è una storia pazzesca che pochi conoscono.
2- perché è una storia di eroismo sconosciuto accaduto nella sua città: Firenze.
3- perché le storie degli ebrei perseguitati e qualche volta salvati, lo fanno sempre affascinato. Sua nonna è ebrea.
4- perché è una storia che racconta di conflitti e può essere di esempio per il mondo di oggi.
5- perché questa storia è venuta incontro al “giovane” regista e, in fondo, lui non ha mai avuto altra scelta che viverla in prima persona e poi raccontarla.
Meravigliosa riflessione. Ammetto ... i miei personaggi fanno quello che voglio io ma si conceda l'attenuante che molte volte sembra proprio lo facciano seducendo chi li crea...